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La donna pesce/Le funambole

Franky in NY Foundation for the Italian Americans

10 maggio 2019 ·

 

The sound of words can be fascinating like music itself. "The Tightrope Walkers" is a beautiful play staged during "In Scena!", the Italian Theatre Festival taking place in NYC until Sunday. 

"The Tightrope Walkers" ("Le funambole") is based on a novel written by Andrea Camilleri, the famous Sicilian writer. It's a magical story, told in Sicilian by the only two performers onstage: Antonella Romano and Rosario Sparno. Just the words lead the audience through the story of Maruzza and Gnazio, the Sicilian sound musical as a lullaby. 

Bravi, Antonella and Rosario! Thank you for spreading the beauty of the Italian language in all its different forms.

DRAMMA.IT

di Emanuela Ferrauto

 

.... l’arcaica arte del racconto sviscera tutto il potente dna meridionale, partendo da una solida base siciliana per rivolgersi apertamente ad un pubblico eterogeneo. La “mescolanza” tra reale e irreale, tra chi sta in scena e in platea, non esiste a priori, sia per la connotazione propria del racconto antico, sia per la presenza dell’attore sia in scena che in platea, sia per gli sguardi e la gestualità dell’attrice che abbraccia con le parole ogni spettatore. La storia creata da Camilleri affonda le radici nella letteratura omerica, che, come è noto, oggi sopravvive grazie alla solida “armatura” di favole e di leggende che colorano e avvolgono tutto il Sud, soprattutto la Sicilia. Ambientata nella costa meridionale dell’isola, a Vigata, paese immaginario corrispondente all’attuale Porto Empedocle, la storia della donna-sirena, che inevitabilmente si mescola alla leggenda partenopea e alle varianti mediterranee della leggenda di Cola, uomo pesce  racconta del matrimonio combinato tra il protagonista e la fantomatica ragazza, accompagnata dalla bisnonna “mavara”, la strega ancestrale che tutto sa e che tutto prevede, simbolo del passato e del futuro. “Funambole”, così sono definite, sottolineando la capacità di tirarsi fuori da ogni situazione.... due sedie altissime, come troni o torri di osservazione, trampolini per tuffi in mare o dentro misteriose piscine cilindriche, oppure, semplicemente le sedie da racconto, quelle posizionate nelle piazze o nei “curtigghi” (cortili). I pesci e le forme da sirene sono abilmente realizzate in fil di ferro dalla stessa Antonella Romano, che continua a lavorarle durante il racconto scenico, “tessendo” visivamente parole e forme. Quest’ultima, infatti, oltre ad interpretare tutti i personaggi femminili, attuando una particolarissima e velocissima caratterizzazione mimica e vocale, rappresenta il “cuntista” vero e proprio. Si parla di “cunto”, nonostante questo spettacolo sia, in realtà, un adattamento scenico-narrativo di un romanzo esistente, corredato, a tratti, da elementi che ricordano certamente la tecnica del cunto, ossia il battito del piede, lo scandire ossessivo della metrica, il canto, il racconto mimato; questo prodotto scenico, però, deve essere considerato come espressione recitativa di un racconto e non come un cunto vero e proprio, se inteso nell’accezione più specifica.  Ciò che interessa, in questo contesto, è il legame tra eros e thanatos, tra amore e morte, binomio che caratterizza numerose favole, leggende e soprattutto i cunti siciliani: la protagonista è bellissima e attira gli uomini in una trappola d’amore, fino ad ucciderli e a divorarli.  Uno spettacolo che gode della ricchezza della scrittura di Camilleri, ma che non banalizza né copia, bensì rielabora drammaturgicamente e scenicamente in maniera originale. 

Corriere Spettacolo

di Antonio Mocciola

“Le funambole”, il “cunto” siciliano

di Rosario Sparno e Antonella Romano

Metti due attori in forma smagliante, Antonella Romano e Rosario Sparno, un testo immagini􏰀co e pirotecnico 􏰀rmato Andrea Camilleri, e riadattato dallo stesso Sparno, ed ecco teatro distillato di parole che diventano musica, mai vuota performance. “Le funambole”, in scena al Piccolo Bellini 􏰀no a domenica 14, ammalia e incanta come le sirene che la Romano ricama col ferro, in scena come nella vita. Artista poliedrica ed imprevedibile, l’attrice campana riempe la scena di sue creazioni e installazioni, rendendo la cornice dello spettacolo elegante ma allo stesso tempo inquietante. Terreno ideale per Rosario Sparno, che trova con la compagna di scena intesa perfetta nei tempi e nei modi. Due fratelli siciliani, in un’isola omerica e fuori dal tempo, artigiani e ciarlieri, sciorinano leggende e superstizioni antiche (ma neanche troppo), dando vita a dialoghi serrati e fulgido colore ad una lingua, altro che dialetto, che suona solenne e, allo stesso tempo, demisti􏰀cante. La regia di Sparno è asciutta e divertita, dando sfogo alla parola e imprigionando i corpi su due sedie irreali. A muoversi sono i racconti, rutilanti e rocamboleschi, che i due fratelli si rimbalzano addosso, 􏰀no agli acuti 􏰀nali. Prodotto da Casa del Contemporaneo, su progetto di Bottega Bombardini, “Le funambole” prende le mosse dal racconto “Maruzza Musumeci”, ed i fans di Camilleri non resteranno delusi. Ma qui emerge, soprattutto, lo stile dei due artisti in scena, che maneggiano con perizia un testo ispido e dal ritmo estenuante, riuscendo, tra tanta densità e, diciamolo, drammaticità, a rimanere, miracolosamente, leggerissimi.

TEATRO CULT

 di Rita Felerico

 

Napoli - Il suono del mare, la musicalità della ‘ lingua ‘

Napoli - Il suono del mare, la musicalità della ‘ lingua ‘ siciliana, la siciliana, la trama sottile, eterea di cui è intessuta la trama sottile, eterea di cui è intessuta la bellissima sirena adagiata

bellissima sirena adagiata sul palcoscenico, quasi al sul palcoscenico, quasi al centro della scena, scatenano fin dall’inizio della rappresentazione un antico bisogno di fascinazione, centro della scena, scatenano fin dall’inizio della quel trepido desiderio di relazione nell’attesa di ricevere - da chi rappresentazione un antico bisogno di fascinazione, quel narra ‘la storia’ a sa, da saggio - le chiavi per capire, vivere e trepido desiderisoopdraivrveivlaerzei.one nell’attesa di ricevere - da chi narra ‘la storia’ a sa, da saggio - le chiavi per capire, vivere e sopravvivere. Cosa è rimasto dentro di noi di quel mondo ancestrale, di quegli archetipi di cui si ha breve cognizione fra i banchi di scuola o da una tradizione culturale e antropica che sta perdendosi con le fotografie

color seppia di famiglia? Per ritrovarlo e ritrovarci, abbiamo direi quasi la necessità di tornare ad una cultura orale, al racconto mitico di gesta e pensieri. Le Funambole, ispirato al testo Maruzza Musumeci di Andrea Camilleri, trae tutta la simbologia di cui è pregno ‘lo cunto’ dell’autore siciliano per rendersi proposta di teatro narrante, costruito sulla complicità dei due protagonisti, bravissimi e perfettamente aderenti all’identità dei personaggi. Una regia meno distratta avrebbe fatto risaltare di più, con pochi accorgimenti e senza nulla togliere all’ essenzialità della messa in scena, quel “vedere cose affatate” da parte dei protagonisti, Gnazio Manisco, pescatore che teme il mare, interpretato dallo stesso Rosario Sparno , e Antonella Romano, di volta in volta gna’Pina o Maruzza Musumeci o nonna Menica o trama legano e tessono una tela fra Napoli e contrada Ninfa, ‘na speci di punta di terra che s’infilava dintra al mari. Quella trama di cui è fatta la Sirena, le figure che galleggiano sulla scena, e quella che intreccia in un lavoro senza riposo Antonella Romano nel mentre ‘cunta’ e recita. Sono tutte sue  le istallazioni, forgiate con il ferro
 

EROICA FENICE

di Giovanna Fusco

 

Le Funambole di Rosario Sparno danzano leggere al Piccolo Bellini

Leggero, come il titolo che gli è stato dato, Le Funambole è un “cunto” siciliano, raccontato come una favola moderna.
La Sicilia. Trinacria. Terra del mare, delle leggende e delle sirene di Ulisse, che con le loro voci incantavano gli uomini, portandoli alla pazzia.

Nido della cultura greca e della classicità. E terra del colore, del popolo, dei suoni leggeri, dell’evocazione. Terra dove si incontrano l’antico e il moderno. E la classicità e la contemporaneità che prendono vita in una veste molto particolare in questo spettacolo.

In uno scenario marino quasi tridimensionale, con i pesci sullo sfondo e il corpo stilizzato di una sirena al centro della scena, un uomo e una donna conversano, intrecciando ceste di vimini, in una tipica scena siciliana di paese o di campo.
Vigata, città di campagna, 1985.

Le Funambole di Rosario Sparno è l’incontro del mito e della fantasia. Quella delle favole antiche, con la forza lavica della terra siciliana, aspra e brulicante di cose da raccontare.
In una veste intimistica e confidenziale, quella propria della terra siciliana – con i suoi rumori, i suoi vocii, le parole scambiate nelle stradine assolate, i vicoli caldi, le espressioni colorite che questo spettacolo bene ha saputo riproporre – emerge una leggenda eterna che a distanza di secoli sa ancora incantare e raccontare storie nascoste. Le Funambole è storia di leggerezza e di amore.

Quella delle sirene e del loro canto. Impronta di un mondo classico mai sopito e di leggende che sono profondamente legate alla nostra tradizione.
Siamo cantori di storie con le nostre voci. Quando una voce riesce a produrre bellezza, viene sempre fuori qualcosa di evocativo.

Dall’incontro del presente con il passato, sapientemente mescolati dalla penna di Camilleri e realizzati in questo lungo monologo carico di simboli, che Antonella Romano e Rosario Sparno sono stati bravi a raccontare in maniera lineare e coinvolgente con l’ironia e la semplicità propria della tradizione siciliana e con la passione che sempre dà la marcia in più, vengono fuori Le Funambole che leggere si muovono nel filo dell’antico e del nuovo, portando con sé la cifra espressiva inconfondibile delle storie che non periscono mai.

IL MATTINO

Con «Le funambole» di Sparno e Romano l'incanto delle Sirene di Camilleri al Piccolo Bellini

di Donatella Trotta

Camilleri «Mi sono voluto raccontare una favola. Perché, in parte, la storia del viddrano (originario di Vigata, ndr) che si maritò con una sirena me l’aveva già narrata, quand’ero bambino, Minicu, il più fantasioso dei contadini che travagliavano nella terra di mio nonno».

Il pubblico napoletano ha ora la possibilità di rituffarsi in quella storia dolcemente perturbante di terra e di mari, di ulivi millenari e antiche sirene, di ulissidi e ninfe, guerrieri e pescatori, immergendosi nel gioco di emozioni ed evocazioni sprigionato da una lingua screziata e fortemente identitaria interpretata a teatro, con affiatata maestria e ironia, da Rosario Sparno e Antonella Romano nello spettacolo «Le funambole»: liberamente ispirato dal romanzo di Camilleri e in scena al Piccolo Bellini fino al 14 gennaio (dal martedì al sabato alle 21.15, domenica alle ore 18.30), con l’adattamento e la regia dello stesso Sparno su progetto della sua compagnia Bottega Bombardini (produzione Casa del Contemporaneo).

Riverberate dalla suggestiva essenzialità scenica, “abitata” dai corpi, dai gesti e dalle voci dei due attori ma anche dalle fluttuanti installazioni mitologiche, leggere e trasparenti, forgiate con il filo di ferro dall’originale arte della stessa Antonella Romano. Che continua a lavorarle “live”, con misurata compostezza, mentre recita con notevole duttilità le sue molte parti femminili accanto a Sparno: lo Gnazio Manisco protagonista del racconto, contadino e muratore molto più legato alla terra che al (temuto) mare, che a fine Ottocento, di ritorno a Vigata dall’emigrazione in America, sposerà - grazie all’accorta mediazione della curandera e sensale di matrimoni “gnà Pina” - la bellissima Maruzza Musumeci: donna misteriosa, bizzarra e sensuale che con il mare, e i suoi antichi segreti, ha invece molto a che fare...

A inanellare dialogicamente la loro storia, vegliata con piglio di ancestrale Mater Matuta dall’anzianissima e inquietante bisnonna Menica e intrisa di amore e morte, misteri, vendetta profumata di mare e vita odorosa di terra, i bravi Sparno e Romano: due fratelli artigiani-narrat(t)ori intenti a lavorare, in scena, una enorme scultura di coda di sirena in rete di ferro “ricamata” in piccolo dalle agili mani di Antonella e lucidata con l’acqua marina da Rosario: trasparente metafora di un ordito relazionale, e letterario, sapientemente intessuto sullo sfondo di un sito ambientale e culturale di donne forti e uomini arcaici. Grazie alla magia del teatro di narrazione, l’immaginaria contrada Ninfa – lingua di terra e di ulivi adagiata sul mare e dal mare circondata – prende così corpo diventando scenario di una sequela incessante di eventi e personaggi, di volta in volta metamorficamente incarnati, con naturalezza estrema, dai due attori, adeguatamente vestiti dalla costumista Alessandra Gaudioso: che – da soli - riescono a dare vita a un’interpretazione emotivamente avvincente, nel pieno rispetto della molteplicità di rinvii e rimandi del testo originale di Camilleri. Denso – fra il resto – di echi omerici e pirandelliani, oltre che di ritualità del mondo popolare siciliano tardo- ottocentesco. E persino i due figli di quella singolare unione tra Gnazio e Maruzza

ottocentesco. E persino i due figli di quella singolare unione tra Gnazio e Maruzza

(il maschio Cola, vocato per le stelle ma che ricorda un po’ Cola Pesce, e la femmina Resina, non casuale anagramma di Sirena) completano, nella sintesi scenica del romanzo di Camilleri, una visione del mondo che lasciando spazio al fiabesco e al poetico rivela tanto della realtà: ma senza colonizzazioni dell'immaginario o banalizzazioni da fiction tv. Forse perché, come si legge nel testo, bisogna «chiudere gli occhi “pi vidiri le cose fatate”, quelle che normalmente, con gli occhi aperti, non è possibile vedere». Una bella morale.

QUARTA PARETE

“Le funambole”: un terremoto che viene dal mare

Sul palco del Piccolo Bellini in scena, dal 9 al 14 gennaio, la nuova produzione di Casa del Contemporaneo, Le funambole, liberamente ispirato al racconto Maruzza Musumeci di Andrea Camilleri, per la regia di Rosario Sparno, anche nelle vesti di attore al fianco di Antonella Romano..... Ad attenderci sulla strada sono due fratelli, interpretati dallo stesso Sparno e da Antonella Romano, che danno avvio a questa narrazione dal sapore antico, a cavallo tra la fine dell’800 e gli inizi del secolo scorso, intrisa di magia. Ricamano anche loro, un filo di ferro però, “il fierro è forte e con un filo di fierro si possono raccontare storie scantuse, ma bedde assai”, col quale creano delle sculture, opere della stessa Romano, che, oltre ad essere attrice intensa, presenza consapevole e potente nel corpo e nella voce, si mostra artista a tutto tondo, nella sua propensione alla scultura, attraverso le installazioni che costituiscono la scenografia alle sue spalle.

Come due aedi, Omero contemporanei, ci raccontano la storia di Gnazio Manisco che, costretto ad andare in America per cercare lavoro, una volta di ritorno dall’altro continente, comprò un appezzamento di terreno in Contrada Ninfa, terra ritenuta maledetta dai più del piccolo paesino natio, e sposò Maruzza Musumeci, donna bellissima e ammaliatrice, che, però, credeva di essere una sirena. E una sirena lo era per davvero. Da quel momento gli accadimenti che si susseguono sono
avvolti dal mistero: la necessità di Maruzza di farsi costruire due cisterne, riempite con acqua salata, per nuotarci almeno sei ore al giorno; la morte di un vicino di Gnazio, Aulisse Di Mare, e la sparizione di suo figlio, Aulisse anch’egli, vendetta delle sirene sul mitico Ulisse di Itaca che osò sfidarle; la volontà di Minica, “la catanonna“ di Maruzza, che decide di morire gettandosi in mare, generando il primo dei terremoti che avrebbe risucchiato negli abissi Contrada Ninfa. Il riferimento all’Odissea è nell’episodio di Aulisse, ma è anche la lingua di Camilleri a prestarsi alla tradizione orale dei rapsodi e alla consuetudine di tramandar leggende, di voce in voce, come quella di Colapesce che regge la Sicilia sott’acqua, il cui destino è ricordato nella sorte che tocca al figlio di Gnazio, Cola per l’appunto, che, disperso su una nave, andrà a vivere, insieme alla sorella Resina, in una grotta sottomarina.

L’attrazione verso la figura fantastica della sirena trova un precedente nella letteratura siciliana in Lighea di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, mostrando tutta la fascinazione che il mito e l’elemento sopranaturale esercitano sugli uomini, soprattutto sugli uomini nati in una terra che galleggia sul mare. In Camilleri e nell’allestimento teatrale di Sparno il mare è l’elemento di vita, morte e di rinascita. Quella dove ad aspettarci erano i due fratelli e che inizialmente appariva come la soglia di una strada, forse invece, è l’antro dove si sono rifugiati Cola e Resina e sono loro a cantarci la loro storia. Una storia di contrasti tra il maschile e il femminile, tra due mondi, uno patriarcale terragno e l’altro matriarcale marino, tra la natura e il soprannaturale, tra il razionale e il fantastico, tra la terra e il mare che si mescolano nella fantasia e i cui confini sono labili, talmente labili da iniziare e finire tra la spuma delle onde.

Antonella D’Arco

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